venerdì 30 novembre 2007

Una pace 'made in Usa'



Il capo del governo israeliano, Olmert e il presidente palestinese, Abu Mazen, ad Annapolis, grazie alla guida diplomatica degli Stati Uniti, si sono impegnati “a porre fine al bagno di sangue, alla sofferenza e a decenni di conflitto tra i popoli. A inaugurare un’era di libertà, sicurezza, giustizia, dignità, rispetto e riconoscimento reciproco. A propagare una cultura della pace e della non violenza. A combattere il terrorismo e l’odio”. La road map è fissata: partenza dei lavori del comitato di coordinamento il prossimo 12 dicembre; incontri ogni due settimane tra Abu Mazen ed Olbert; smantellamento degli insediamenti israeliani con il monitoraggio USA.
Sono tre le valutazioni possibili per il risultato della Conferenza di Annapolis. Quella prudente di chi sostiene che si è compiuto un passo in avanti e che non era realistico attendersi di più. Quella ottimistica di chi, pur sapendo come sia difficile giungere alla pace, è convinto che il dovere di tentare il conseguimento dell’accordo sarà coronato da successo. Quella assolutamente negativa, degli esclusi, Hamas ed Iran per cominciare, che promettono attentati e non riconoscono serietà alla dichiarazione congiunta israelo-palestinese.
C’è un’altra valutazione, più complessa e meno cinica, espressa dal giornalista di Arab News che ha scritto:”Aspettati niente, conquista qualcosa, goditi i risultati”.
Alla soddisfazione per la riapertura dei negoziati, si deve aggiungere il successo conseguito dal cambio di ruolo dell’unipolarismo americano, in qualche modo dalla modifica della dottrina Bush.
La svolta dell’amministrazione Bush, col rifiuto del multilateralismo e di altri impegni internazionali, avvenne prima dell’11 settembre, ma è in Iraq che si è infranto il sogno dell’ordine unipolare a causa di una eterogenea coalizione di nazionalisti sunniti e di terroristi islamici differentemente motivati. Ad Annapolis gli Stati Uniti hanno ripreso e rafforzato la linea preannunciata nel 2006 da Condoleeza Rice durante la crisi libanese: gli Usa esercitarono la loro leadership in qualità di facilitatori del consenso internazionale ad una soluzione condivisa, piuttosto che di risolutori solitari.Nella conferenza di Annapolis, cinquanta delegazioni – tra le quali a pieno merito quella italiana- hanno compartecipato al successo.